salta al contenuto

Diritto d'autore


Normative europee e beni culturali: come cambiano il trattamento dei dati personali e il copyright 

 

Seminario promosso dal corso di laurea in Conservazione dei Beni culturali DIRAAS – Università di Genova, in collaborazione con ANAI Liguria, AIB Liguria, Segretariato regionale per la Liguria MiBAC e WikiMedia Italia, tenutosi il 5 marzo 2019 presso l’Aula Magna del’Università di Genova. 

Sono disponibili in open access le slide dei vari interventi


Nonsolocopyright: diritto dell’informazione e biblioteche digitali 
Rosa Maiello

 

Cosa fanno le biblioteche e gli archivi in ambiente digitale? Qual è il loro ruolo istituzionale, quali bisogni soddisfano? A partire dalla destinazione d’uso di biblioteche e archivi, il contributo considera la legislazione italiana ed europea in materia di informazione e di documenti applicabile a questi istituti in ambiente ibrido e digitale. In particolare l’attenzione si sofferma sulle opportunità e sulle limitazioni derivanti dall’evoluzione normativa in tema di: accesso e riutilizzo dei dati in possesso di soggetti pubblici; tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio scientifico e culturale; diritti d’autore; protezione dei dati personali. Infine, si fa riferimento al Manifesto AIB e al Manifesto IFLA/UNESCO sulle biblioteche digitali come strumenti per la salvaguardia dei diritti fondamentali, per provare a rintracciare uno ‘statuto’ internazionale delle biblioteche digitali in quanto istituzioni munite di un’identità autonoma che può essere presupposta, ma non superata dalle legislazioni correnti, a condizione che le biblioteche stesse la facciano propria.

 

Articolo pubblicato in AIB studi, 58(2018) n. 1


Con licenza parlando: prospettive dei servizi bibliotecari nel mercato dei diritti sulle opere dell’ingegno 
Rosa Maiello

 

Nell’ottica dei diritti fondamentali, le politiche pubbliche in materia di biblioteche e di diritto d’autore rispondono a finalità di promozione culturale e di tutela della libertà di manifestazione del pensiero. In ambiente digitale, i diritti di privativa hanno però assunto un peso preponderante sui servizi bibliotecari, determinando forti condizionamenti al loro normale esercizio. Mentre le strategie dell’Unione Europea a sostegno delle biblioteche, confidando nella capacità di autoregolazione del mercato, si basano prevalentemente su incentivi e raccomandazioni non vincolanti, i diritti esclusivi di utilizzazione economica di autori e loro aventi causa fanno leva da decenni su una produzione normativa intensa e incessante che ha finito per condizionare pesantemente la diffusione della conoscenza a livello nazionale, europeo e internazionale. Per effetto di queste politiche le biblioteche oggi devono affrontare complesse negoziazioni per ottenere contratti di licenza d’uso spesso non soddisfacenti in rapporto alla loro missione di servizio.
L’articolo evidenzia le principali criticità da risolvere e le ragioni a sostegno delle riforme che sono state proposte – sia in ambito OMPI sia nell’Unione Europea – al fine di armonizzare, ampliare e rafforzare il sistema delle «eccezioni e limitazioni» al diritto d’autore, in modo da garantire un accesso più ampio possibile alla produzione culturale e incoraggiare la produzione di nuova conoscenza favorendo il confronto culturale e creativo.

 

Articolo pubblicato in AIB studi, 55(2015) n. 1


Fotografie di opere d’arte: tra titolarità, pubblico dominio, diritti di riproduzione, privacy
Antonella De Robbio

 

Il presente lavoro si occupa dei diritti che intervengono nell’utilizzo e diffusione delle immagini che riproducono opere d’arte, in particolare quelle cadute nel pubblico dominio. Nella riproduzione di un’opera d’arte due sono gli oggetti da considerare: l’opera d'arte, che può essere di dominio pubblico o ancora soggetta a tutela e la fotografia che riprende l’opera che a sua volta può essere soggetta a diritti di vario genere. Per la norma italiana l’opera fotografica, per rientrare nel campo della tutela, deve essere creativa e non una mera riproduzione di un oggetto reale come un'opera originale. In ambiente digitale le numerose versioni delle immagini di una stessa opera d’arte, in formati diversi, sono prive di note di copyright e possono generare confusione. Le norme o i regolamenti
sulla tutela dei beni culturali possono minare la libera circolazione e fruizione di immagini di opere anche se ricadenti nel pubblico dominio. Alcuni musei stranieri hanno norme restrittive in merito alla riproduzione delle opere che possiedono e ottenere una riproduzione richiede il pagamento di diritti di riproduzione differenziati per pubblicazione, diffusione a stampa o su Web, ambito di distribuzione ecc. La gestione dei diritti di riproduzione è spesso data in concessione ad agenzie fotografiche che si appoggiano a reti e banche dati di immagini a pagamento, le quali si occupano di rilasciare licenze differenziate a seconda degli scopi e dell’uso. Tuttavia sono numerose le istituzioni culturali, biblioteche, archivi e musei che si sono dotate di politiche aperte o hanno aderito a progetti innovativi. In Italia il decreto ArtBonus del giugno 2014 va in questa direzione grazie ad alcune importanti aperture come la liberalizzazione dello scatto fotografico nei musei per scopi non di lucro.

 

Articolo pubblicato in Digitalia, 1(2014)


Il dibattito sulla liberalizzazione della fotografia digitale in archivi e biblioteche quattro anni dopo l’appello di Reti Medievali
Mirco Modolo

 

Il 13 settembre 2013 “Reti medievali” diffuse sul web un appello, sottoscritto da alcune delle principali associazioni di storici e archeologi italiane per chiedere al Mibact la liberalizzazione delle riproduzioni digitali delle fonti documentarie. L’entrata in vigore del decreto “Art Bonus”, il primo giugno 2014, in un primo momento sembrò recepire le istanze manifestate dalle comunità scientifiche. Tuttavia, appena un mese più tardi, un emendamento restrittivo intervenne a escludere i beni bibliografici e archivistici dalla liberalizzazione, allora giustificato da ragioni economiche e di tutela del materiale documentario. Si aprì un ampio dibattito, promosso dal movimento “Fotografie libere per i Beni Culturali”, che sostiene l’opportunità di ripristinare lo spirito originario del decreto “Art Bonus” nel rispetto della normativa in materia di diritto di autore e protezione dei dati personali e in linea con i regolamenti dei maggiori archivi e biblioteche europei. Una recente mozione del Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici sembra offrire i criteri guida per una riforma del regime delle riproduzioni in archivi e biblioteche capace di allineare il nostro paese alle più avanzate esperienze europee.

 

Articolo pubblicato in Reti Medievali, 18(2017) n. 1


Storia e attualità del diritto d'autore
Sebastiano Miccoli

 

Il problema del diritto d’autore è senza dubbio una delle questioni più urgenti e complesse che le biblioteche – e in generale tutti gli attori della filiera culturale – si trovano ad affrontare oggi. Qual è l’uso lecito di un’opera dell’intelletto? I detentori dei diritti possono porre dei limiti – e quali – alla sua fruizione? Che tipo di proprietà può vantare l’autore sulla propria opera? Sono solo alcune delle domande a cui è sempre più difficile dare una risposta univoca.
L’articolo analizza il recente lavoro di Chiara De Vecchis e Paolo Traniello (La proprietà del pensiero, 2012) illustrando la vicenda del diritto d’autore da un punto di vista storico, teorico e giuridico a partire dal 1700 fino ai giorni nostri, con un’attenzione particolare alla situazione italiana. L’obiettivo è quello di contribuire alla formazione di una cultura del diritto d’autore che tenga conto anche dei diritti del lettore, e che metta in grado il bibliotecario di interpretare al meglio il suo ruolo tradizionale di mediazione tra universo documentario – protetto o promosso dai diritti di proprietà intellettuale – e bisogni informativi (o diritto di accesso alle informazioni) degli utenti, in un contesto radicalmente mutato rispetto al passato.

 

Articolo pubblicato in AIB studi, 53(2013) n. 2


Dalle collezioni alle connessioni
Fabio Di Giammarco

 

The works that libraries provide – and especially for the loan – are protected by copyright, but the laws in force have so far allowed to use them in line with the institutional mission of libraries provide free access, free of charge, universal access to information at the same time ensuring the preservation over time. But, this scenario is now changing dramatically. Due to the digital revolution, the paper is in retreat, and more or less quickly is going to give way to electronic. A turnover by no means easy, and that among the more problematic the dissolution of the legal basis on which libraries have so far built cultural and institutional functions.

 

Articolo pubblicato in Biblioteche oggi, 31(2013) n. 6


Chiara De Vecchis – Paolo Traniello. La proprietà del pensiero: il diritto d’autore dal Settecento a oggi. Roma: Carocci, 2012
Recensione di Antonella De Robbio

 

La proprietà del pensiero è l’eloquente titolo – uscito per Carrocci Editore nel 2012 nella collana «Beni Culturali; 39» – scelto dall’editore periltesto scritto a quattro mani da Chiara De Vecchis e Paolo Traniello. È untesto sul diritto d’autore, di cui si sentiva fortemente la mancanza e, proprio peril suo carattere storico-culturale e pragmatico-evolutivo,risulta unutile strumento di studio e di lavoro. Un bel titolo per un bel libro. Di chi è la proprietà del pensiero, inteso come bene intangibile, frutto della creatività umana? Molte le domande a cui tuttora è difficile dare risposte certe. Un insieme di contenuto che va a colmare una lacuna e che fornisce al lettore e, a quanti si interessano della materia, più chiavi di lettura. 
Il testo, che si divide in due parti, si snoda in sette capitoli, oltre alle conclusioni scritte in condivisione. La prima parte, relativa ai capitoli 1-4 la si deve a Paolo Traniello: è focalizzata sulla prospettiva storica e fornisce un’interessante retrospettiva sul diritto d’autore dal Settecento ad oggi. La seconda parte, capitoli 5-7, redatta da Chiara De Vecchis si occupa delle prospettive della contemporaneità in una dimensione internazionale, toccando gli aspetti tecnologici e organizzativi dell’informazione e delle sue forme di tutela nel cyberspazio. Le due parti si integrano in modo armonico e tutto iltesto nel suo insieme organico offre una panoramica che percorre tempi e prospettive, tramite un costrutto che sconfina oltre il classico approccio giuridico-istituzionale.
Dai prodromi dei privilegi rinascimentali – istituti presenti nel diritto romano di epoca imperiale e successivamente nel diritto canonico – Traniello ripercorre le tappe di un diritto che poggia su una regolamentazione giuridica, ma che sfocia verso dimensioni altre, economiche, sociali e culturali, passando attraverso gli aspetti di ambito filosofico, prettamente riconducili ai fondamenti teorici di Locke sulla proprietà intellettuale e successivamente ai dibattiti attorno alle teorie di filosofi come Diderot, Condorcet, Kant, Fichte.
Le origini del copyright in Gran Bretagna, correlate alle vicende sulla libertà di stampa e censura governativa – attuata tramite un controllo sulle opere pubblicate operato dalla corporazione dei censori nota come la London Company of Stationers (Corporazione dei Librai di Londra) – sono trattate nel primo capitolo e si legano poi al terzo focalizzato sull’editoria e proprietà intellettuale nell’Italia pre-unitaria Nel secondo capitolo il dibattito di fine Settecento in Germania sulla norma scaturita a seguito della Rivoluzione Francese conduce il lettore a comprendere il concetto di recensioni e segnalazioni 331 originalità dell’opera come ancora oggi è intesa entro le norme nazionali di molti Paesi Europei. Dalle corporazioni degli editori e stampatori alla voce degli autori che rivendicavano i loro diritti.
«La più sacra, la più legittima, la più inattaccabile, la più personale di ogni proprietà, è l’opera, frutto del pensiero d’uno scrittore; tuttavia è una proprietà di un genere completamente diverso dalle altre proprietà. Quando un autore ha consegnato la sua opera al pubblico, quando quest’opera è nelle mani ditutti,tutti gli uomini colti la conoscano, si sono impadroniti delle bellezze che contiene e hanno affidato alla loro memoria le sue battute più riuscite, sembra che in quel momento lo scrittore abbia associato il pubblico alla sua proprietà o addirittura gliela abbia trasmessa nella sua interezza» Le Chapelier (1791). Dall’Illuminismo in Europa allo sviluppo industriale dell’Italia dopo l’Unione, la proprietà intellettuale come proprietà del pensiero è vista e interpretata alla luce delle norme dal 1865 a fino alla norma 633 del 1941 dell’era fascista, tuttora vigente.
Da qui, lo sguardo sull’editoria contemporanea si congiunge con la seconda parte del testo, partendo dalla dimensione internazionale della convenzione di Berna e tracciando, nel quinto capitolo i confini della proprietà intesa tra Otto e Novecento. Diritti, eccezioni ai diritti, armonizzazione normativa,fattori economicitra licenze e assetti di mercato, tra tecnologie e nuovi soggetti economici della catena informativa sono trattati nel sesto capitolo. Per gli aspetti correlati al mondo delle biblioteche il settimo capitolo si intreccia con le dinamiche dell’autore nella rete entro la società dell’informazione, sebbene la tematica che concerne il prestito sia trattata come caso nel capitolo cinque, entro la parte relativa alla legislazione europea che ha comportato modifiche alla norma italiana.
In sintesi la molteplicità di forme prospettiche del copyright entro la società dell’informazione a cui siamo approdati nell’era digitale ben si innesta, nel testo, con la parte storica precedente, il cui anello di congiunzione è posto con la nascita dell’editoria moderna.

 

Articolo publbicato in AIB studi, 53(2015) n. 3


La gestione dei diritti nelle digitalizzazioni di massa.
Un'analisi alla luce del caso Google Book Search

Antonella De Robbio

 

Introduzione
La digitalizzazione massiva di libri, e l'uso di tecnologia avanzata per renderli disponibili e utilizzabili online, ha forti legami con il passato di Google. Nel 2004, a seguito di una intensa battaglia legale, Google trasformò – cambiandone anche il nome - il progetto Google Print nel progetto Google Book Search, entro due distinte linee di azione: Programma Partner Google Libri (editori) e Progetto Google Biblioteche (biblioteche). Mentre la consultazione per intero dei libri di pubblico dominio non presenta aspetti particolarmente problematici, la possibilità per qualsiasi utente di ricercare all'interno di opere protette da diritto d'autore digitalizzate a questo scopo ha provocato, nell'autunno del 2005, una class action promossa da autori ed editori, e risoltasi il 28 ottobre 2008 con il cosiddetto Google Book Settlement (accordo Google Libri o Transazione). La discussione imperversa sui blog e la proliferazione di news tutte uguali, sui generis, non aiuta a capire i reali meccanismi dell'accordo. Le opinioni degli esperti, o meglio dalle parti in causa, sono divergenti: si passa dal massimo entusiasmo, espresso da autori, editori e dagli utenti della rete, ai fondati timori, da parte di cauti bibliotecari o opinionisti, per un monopolio di Google.
Questo lavoro analizza la gestione dei diritti nel Progetto Google Biblioteche, esaminandone i termini dell'accordo, il quale porterà alla creazione di un Registro dei Diritti indipendente e senza scopo di lucro per rappresentare autori, editori e altri detentori dei diritti. L'accordo prevede anche la costituzione di un corpo ricerca dislocato in due centri (oltre a Google) scelti dalle biblioteche, database che conterrà l'insieme di tutte le copie digitali connesse al Google Library Project.
L'accordo identifica quattro categorie di biblioteche aderenti basate sul loro livello di partecipazione alla transazione: Biblioteche aderenti in pieno, Biblioteche contribuenti, Biblioteche di dominio pubblico e Altre biblioteche. Le opere digitalizzate da Google e fornite dalle quattro possibili tipologie di biblioteche, hanno superato la quota di sette milioni nel novembre del 2008. Per quanto riguarda gli aspetti legali sono classificabili entro tre categorie: libri protetti da copyright fuori commercio, le cosiddette opere orfane (5 milioni ca. = 70%); libri di pubblico dominio (1.4 milione ca. = 20%); libri protetti da copyright in commercio (700mila ca. = 10%). Il lavoro analizza l'accordo transattivo alla luce di una possibile trasposizione del modello in un contesto normativo di diritto d'autore europeo.

 

Articolo pubblicato in Biliotime, 12(2009) n. 2


Biblioteche e diritto d’autore
Manlio Mallia

 

1. Le biblioteche e il diritto d’autore
Le biblioteche, le mediateche, i centri di documentazione, gli archivi raccolgono, conservano e mettono a disposizione del pubblico, nelle forme più varie, documenti di ogni tipo, che contengono quasi sempre opere protette dal diritto d’autore. Fino a pochi anni fa questa protezione non ostacolava l’esercizio della funzione fondamentale svolta dalle biblioteche, ma alcuni fattori hanno cambiato la situazione in modo radicale, creando inquietudine nei titolari dei diritti, soprattutto per lo sviluppo di una serie di servizi che sembrano ridurre ai loro occhi le possibilità di sfruttamento commerciale delle opere.
L’evoluzione rapida dei mezzi di diffusione delle opere, le possibilità di accesso e di trasmissione a distanza, la circolazione dei documenti e delle informazioni al di là dei confini nazionali, la smaterializzazione dei supporti hanno aperto la strada negli ultimi venti anni ad un processo lungo e complesso di armonizzazione dei meccanismi di protezione a livello internazionale che non si è ancora esaurito.
Il diritto d’autore non può quindi essere trascurato dalle biblioteche, che non sono più considerate dai titolari dei diritti come un canale non concorrenziale e di minima rilevanza economica, ma sono viste come parte della sfida posta dal mondo digitale ai diritti di proprietà intellettuale.
La protezione del diritto d’autore risale alla fine del Settecento, ma fino alla metà del Novecento le biblioteche si sono dedicate prevalentemente alla conservazione del patrimonio e allo studio e non dovevano affrontare reali problemi di diritto d’autore, dato che la comunicazione delle opere rimaneva ristretta entro i confini dell’uso istituzionale: l’accesso alle opere era, infatti, limitato alla comunità dei ricercatori e lo sfruttamento delle opere non era intenso, anche se non possiamo ignorare che le prime biblioteche pubbliche furono avversate dagli editori come fattispecie di concorrenza sleale e che solo dopo molti anni esse furono percepite nella loro funzione di fondamentale strumento per la diffusione della lettura, da cui l’editoria avrebbe tratto consistenti vantaggi economici.
Anche le biblioteche universitarie, fino agli anni cinquanta, erano indirizzate a un numero scarso di fruitori e disponevano di risorse abbastanza limitate.
La lettura pubblica si sviluppava negli anni successivi, muovendosi in una prospettiva di forte tensione culturale e sociale, orientata al più ampio accesso all’informazione e alla democratizzazione delle conoscenze, mentre la crescita demografica ed economica favoriva negli stessi anni lo sviluppo dell’educazione e la diffusione su larga scala dei prodotti culturali.
Da parte sua l’università fronteggiava la forte crescita della popolazione studentesca e la domanda crescente di documenti di ogni tipo e faticava, almeno fino alla fine degli anni ottanta, a mantenere le acquisizioni librarie ai livelli necessari. Si sviluppava così in ambiente universitario, proprio in quegli anni, facilitata dal progresso tecnico e dalla costante riduzione del costo dei materiali di riproduzione, la pratica massiccia della fotocopiatura di libri e periodici, pratica che si estendeva poi alle scuole e all’insegnamento musicale.
Lo sviluppo della lettura pubblica ha fatto crescere in alcune aree del paese il prestito di libri, riviste, supporti audio e video, che agli occhi di alcuni editori ha aperto scenari inquietanti, caratterizzati dalla copia su vasta scala dei documenti sonori e audiovisivi e dalla crisi della letteratura generale, di cui essi lamentano la cronica stagnazione delle vendite.
L’aumento del costo delle opere, la riduzione delle tirature e la scarsa redditività di gran parte della produzione obbligano così gli editori a praticare prezzi di vendita sempre più elevati: la fotocopiatura massiccia diviene allora la risposta del mercato, che aggrava ulteriormente la situazione e costringe alla resa molti piccoli editori.
La digitalizzazione ha aperto enormi prospettive per la conservazione, lo stoccaggio, la catalogazione e la rapida consultazione dei documenti, e reso possibile l’accesso a distanza alle informazioni offerte on line, dietro cui si intravede la smaterializzazione dell’opera, che ha determinato l’adozione di nuove regole di protezione dei diritti d’autore, provocando una profonda frattura tra i principi giuridici e la pratica quotidiana degli utenti privati e pubblici.
Gli editori temono, in effetti, di perdere il controllo sulla circolazione delle loro opere, soprattutto quando si parla di documenti in formato elettronico, e premono per ridefinire in modo sempre più restrittivo le legislazioni, limitando la portata delle eccezioni ai diritti esclusivi di cui essi godono. La loro attuale visione di questi complessi fenomeni li porta a privilegiare, nel rilascio delle autorizzazioni, il quadro contrattuale su base bilaterale rispetto alla gestione collettiva dei diritti, il che crea non sempre ingiustificati timori di un rincaro dei costi di acquisizione dei diritti, soprattutto nell’ambiente digitale.
Le biblioteche, da parte loro, svolgono l’insostituibile funzione di conservare e diffondere la cultura, di preservare i libri anche dopo che i testi scompaiono dagli scaffali dei librai e dai magazzini degli editori, di garantire a tutti i cittadini, anche ai meno abbienti, l’accesso alle fonti d’informazione e documentazione e di contribuire ad un’azione culturale democratica. Il rispetto del diritto d’autore dovrà, comunque, avvenire in modo da non bloccare l’esercizio di questa funzione, e scongiurando il rischio di limitare in misura notevole il diritto alla libertà d’informazione, di circolazione delle idee, di discussione e divulgazione culturale.
Per governare la complessità del fenomeno è necessario un nuovo approccio a beneficio di tutte le categorie di utenti, con gli editori che devono riconoscere la specificità del servizio pubblico non commerciale, le sue necessità e l’interesse essenziale che questo servizio riveste per tutti i cittadini, e le biblioteche che devono prendere coscienza dell’importanza del ruolo svolto dal diritto d’autore e della necessità di farsi attivi promotori dei suoi principi presso i loro frequentatori: solo in questo modo si potrà contribuire a elaborare, nelle sedi negoziali più appropriate, regole soddisfacenti per un uso esteso e ordinato delle opere protette nei nuovi media.
Si dovrà innanzi tutto affrontare il problema della scarsa conoscenza delle regole del diritto d’autore, e della reale portata delle eccezioni, da parte degli operatori del settore, fenomeno certamente favorito dalle esitazioni degli editori nell’avviare una metodologia di confronto globale con il mondo delle biblioteche.
In questa ottica si dovrà sgombrare il campo da interpretazioni contraddittorie, che rischiano di creare confusione e incertezza e sarà necessario curare la formazione al diritto d’autore dei professionisti delle biblioteche, chiarendo loro i principi fondamentali, le regole vigenti e i meccanismi contrattuali di autorizzazione e compenso.
In questa sede sarà data una sintesi delle conoscenze essenziali in materia; per un approfondimento dei temi generali alla luce di tutte le più recenti modifiche legislative potrà essere consultato l’aggiornato volume di Stefania Ercolani “Il diritto d’autore e i diritti connessi (la legge 633/1941 dopo l’attuazione della Direttiva 2001/29/CE)” , pubblicato da Giappichelli nel marzo 2004.

 

2. Breve panoramica sui principi generali del diritto d’autore
Il diritto di chi crea l’opera è storicamente l’ultimo a trovare protezione, dopo quelli di chi la fa circolare e di chi la usa direttamente. L’esclusiva per l’utilizzazione economica dell’opera è attribuita all’autore solo nel XVIII° secolo, molti anni dopo l’introduzione della stampa, e riesce ad affermarsi concretamente nei paesi europei, non senza difficoltà ed ostacoli, nel corso del secolo successivo.
La legge in vigore in Italia è la n. 633 del 22 aprile 1941, preceduta dalle leggi emanate nel 1882 e nel 1925.
Parallelamente alle iniziative nazionali il diritto d’autore ha costantemente subito l’influenza di una serie di accordi internazionali, indispensabili per una sua efficace protezione anche oltre i confini territoriali dei singoli Stati. Il primo, e ancora oggi il più importante, di questi accordi, che ha profondamente influenzato la formazione della legislazione italiana, è la Convenzione di Berna, entrata in vigore nel 1887, che nel corso degli anni ha subito una lunga serie di revisioni ed ha visto crescere il numero dei paesi che hanno assunto l’impegno di adeguare le loro leggi alle sue norme.
Altri accordi internazionali cui l’Italia ha aderito sono la Convenzione Universale del diritto d’autore adottata nel 1952 su iniziativa dell’UNESCO, l’accordo del 1994 concluso nell’ambito del GATT sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPs) e i due Trattati OMPI del 1996.
Quasi tutte le recenti modifiche della legge italiana sono il frutto di delicate alchimie tra i diversi interessi in gioco, e traggono origine da iniziative dell’Unione Europea, che dal 1991 al 2001 ha trasformato completamente il panorama normativo attraverso l’adozione di ben sette direttive, allo scopo dichiarato di assicurare un elevato livello di protezione al diritto d’autore ed armonizzare tra loro le leggi dei paesi membri.
Il diritto d’autore ha come essenziali punti di riferimento l’opera e il suo creatore.
Per ricevere tutela l’opera deve avere una forma espressa (le semplici idee non esteriorizzate non sono oggetto di protezione) e deve avere carattere creativo, deve cioè essere originale e recare l’impronta della personalità del suo autore.
Al contrario di altri oggetti dei diritti di proprietà intellettuale (marchi, brevetti) il diritto d’autore non esige per la protezione alcuna formalità costitutiva: per l’esercizio del diritto non è, infatti, richiesta alcuna registrazione e il deposito presso la SIAE consente solo di provare più efficacemente, in caso di controversia, l’anteriorità della creazione.
Un’elencazione non esaustiva delle opere proteggibili è riportata dall’art. 2 della legge 633 del 1941 e comprende, tra le altre, le opere letterarie, drammatiche, scientifiche, didattiche, musicali, liriche, i programmi per elaboratore, le banche dati, le opere cinematografiche, fotografiche, della scultura, della pittura, dell’architettura, del disegno industriale.
Un caso particolare è rappresentato dalle banche dati, per le quali dal 1999 sono previste una tutela piena a titolo di diritto d’autore allorché, per la scelta o la disposizione del materiale impiegato, esse siano una creazione intellettuale dell’autore, e un diritto sui generis in favore del costitutore per quelle che, pur non essendo creative, abbiano richiesto investimenti rilevanti per la loro realizzazione. Il tutto senza pregiudizio dei diritti sul loro contenuto, che può essere costituito da opere autonomamente protette dalla legge.
Le opere di compilazione, consistenti nella raccolta di dati preesistenti, sono dunque protette quando hanno carattere creativo nel criterio di cernita, selezione e organizzazione sistematica dei materiali: così la giurisprudenza ha affermato la proteggibilità di un indice di leggi, di una raccolta organica di notizie e dati su persone, di una raccolta di testi legislativi, di un repertorio di massime giurisprudenziali.
Sono esclusi dalla tutela gli atti ufficiali dello Stato e delle amministrazioni pubbliche, sia italiane che straniere, e i testi delle decisioni giudiziarie.
Un regime particolare di tutela è previsto per le opere collettive (enciclopedie, dizionari, antologie, giornali, riviste), costituite dalla riunione di opere, o parti di esse, che rimangono distinte ed autonome tra loro e sono state create da un gran numero di autori su iniziativa di un soggetto che effettua la scelta e il coordinamento delle opere stesse ad un determinato fine, ed al quale la legge attribuisce il diritto di utilizzazione economica.
Sono protette dalla legge (art. 4), senza pregiudicare i diritti sull’opera originale, anche le elaborazioni creative (come le traduzioni, gli adattamenti, le riduzioni, i compendi ecc.), che sono originali nella forma espressiva, ma si basano sulle strutture rappresentative di un’altra opera e mostrano la loro derivazione da essa, pur rivelando l’impronta del pensiero e della personalità del loro autore.
La quasi totalità delle opere che fanno parte della collezione delle biblioteche è quindi protetta dalla legge sul diritto d’autore, che attribuisce all’autore il monopolio dello sfruttamento e gli permette di opporsi alle utilizzazioni effettuate senza la sua autorizzazione e senza compenso.
I diritti riconosciuti all’autore appartengono alle due categorie dei diritti patrimoniali e dei diritti morali e sono descritti con precisione negli articoli da 12 a 24 della legge.
Molto importanti sono il secondo comma dell’art. 12 (che sancisce il principio della pienezza del diritto dell’autore in ordine all’utilizzazione economica della sua opera in ogni forma e modo) e l’art. 19 (in base al quale i diritti esclusivi attribuiti all’autore sono indipendenti tra loro e l’esercizio di uno di essi non esclude l’esercizio esclusivo di ciascuno degli altri).
I diritti patrimoniali possono essere distinti in due grandi categorie, quella della riproduzione (che implica la fissazione dell’opera su un oggetto materiale, come la stampa, la fotografia, la registrazione su disco) e quella della comunicazione (che porta l’opera direttamente a conoscenza del pubblico, senza che questo abbia bisogno dell’intermediazione della riproduzione materiale).
Tra le eccezioni al diritto esclusivo di pubblica esecuzione, rappresentazione o recitazione (quest’ultima riguarda la dizione a memoria o mediante lettura delle opere letterarie) figurano, in base al 2° comma dell’art.15, quelle effettuate nella cerchia ordinaria della famiglia o della scuola, per cui la proiezione di un film o la lettura collettiva in biblioteca devono necessariamente essere autorizzate, anche se avvengono a titolo gratuito.
Il diritto di riproduzione, in base alla definizione data dall’art. 13, ha per oggetto la moltiplicazione in copie, diretta o indiretta, temporanea o permanente, in qualunque modo o forma, in tutto o in parte, dell’opera già esistente in un supporto materiale oppure non ancora materializzata.
In linea generale non rileva che la riproduzione sia o meno effettuata a scopo di lucro: per esentare alcune particolari tipologie di utilizzazioni intervengono le eccezioni e limitazioni previste dagli articoli da 65 a 71-decies, considerate tali per il loro specifico scopo che esclude il fine di lucro.
Oltre al regime particolare previsto per le fotocopie (la c.d.reprografia) e per la copia privata di fonogrammi e videogrammi ad uso personale, le più rilevanti libere utilizzazioni riguardano, a particolari condizioni ed entro limiti ben definiti, la riproduzione di articoli di attualità, discorsi ed estratti di conferenze tenuti in pubblico, il riassunto e la citazione, la riproduzione nelle antologie scolastiche, il prestito delle biblioteche pubbliche.
E’ bene ricordare, a questo riguardo, il principio sancito a livello internazionale dalla Convenzione di Berna (art.9) e recepito in una serie di articoli della legge italiana (64-quater, 64-sexies, 71-nonies), secondo cui le limitazioni al diritto esclusivo dell’autore non devono essere in contrasto con lo sfruttamento normale dell’opera, né danneggiare in modo ingiustificato gli interessi dei titolari del diritto.
Indipendenti dai diritti patrimoniali sono i diritti morali, che sono irrinunciabili, imprescrittibili ed incedibili e, dopo la morte dell’autore, possono essere fatti valere solo da alcuni suoi parenti stretti. Si tratta del diritto di paternità (che comprende il diritto all’anonimato, quello allo pseudonimo e quello alla rivendicazione della qualità d’autore), del diritto all’integrità dell’opera (che dà la possibilità di opporsi alle modifiche che pregiudichino l’onore e la reputazione dell’autore), del diritto di ritiro dell’opera dal commercio per gravi ragioni morali, del diritto d’inedito.
La proprietà immateriale, che consegue all’attribuzione del diritto d’autore, è indipendente da quella dell’oggetto materiale, e chi acquista un esemplare dell’opera (un libro, un disco, una videocassetta) non acquista per questo solo fatto alcun diritto sull’opera in esso riprodotta (art. 109).
La durata della protezione è per tutta la vita dell’autore e fino al termine del settantesimo anno solare dopo la sua morte. In caso esistano più coautori la durata si determina sulla vita del coautore che muore per ultimo.
Le opere non più protette sono di pubblico dominio e possono essere riprodotte liberamente; non è tuttavia lecito riprodurre la composizione grafica dell’opera riprodotta a stampa, che configura la fattispecie della concorrenza sleale, di cui all’art. 2598 del codice civile.
Per i libri stranieri tradotti in lingua italiana, bisogna tener presente che la durata della tutela deve essere calcolata ricordando che il traduttore è da considerare a pieno titolo tra gli autori dell’opera tradotta: la durata di protezione delle traduzioni, anche se le opere originali sono cadute da tempo in pubblico dominio, si prolunga quindi fino a settanta anni dopo la morte del traduttore.
I diritti patrimoniali dell’autore sono cedibili a titolo oneroso o gratuito (ad esempio ad un editore) e sono trasmissibili per successione. Il trasferimento in toto dei diritti è una prassi generale nel settore delle riviste, mentre in campo letterario gli autori preferiscono concedere i diritti in licenza all’editore.
Per facilitare il controllo degli autori sullo sfruttamento delle loro opere e l’incasso dei compensi dovuti soprattutto per le utilizzazioni polverizzate nel tempo e nello spazio sono state create le società di gestione collettiva. Queste società, di norma costituite molti anni fa dagli stessi autori, per la maggior forza contrattuale di cui dispongono grazie al mandato ricevuto da un consistente numero di aventi diritto, sono in grado di negoziare al meglio i diritti affidati alla loro tutela, di monitorare più efficacemente dei singoli autori le utilizzazioni da parte dei terzi, di proibire quelle non consentite e di vigilare su quelle da esse autorizzate. Quest’attività è svolta in Italia dalla SIAE, cui è riservata in via esclusiva dall’art. 180 della legge 633 l’attività di intermediazione per l’esercizio di numerosi diritti spettanti agli autori, mentre altre norme della stessa legge le affidano una serie di compiti specifici (ad esempio in materia di vidimazione dei supporti, di reprografia, di registrazione del software, di copia privata ecc.).
Oltre ai diritti d’autore la legge 633 disciplina anche i diritti connessi, denominazione generica in cui sono comprese ipotesi molto dissimili tra loro, di cui si occupa il Titolo II. Si tratta di diritti concettualmente affini al diritto d’autore, che assicurano tutela ad attività basate soprattutto sull’utilizzazione delle opere dell’ingegno altrui. Di maggiore interesse ai fini che qui interessano sono i diritti dei produttori di fonogrammi e quelli degli enti di radiodiffusione (che hanno come oggetto la tutela degli interessi di natura industriale e commerciale di questi soggetti) e i diritti degli artisti interpreti ed esecutori.
La durata di questi diritti, che coesistono con i diritti spettanti all’autore, che sono comunque fatti espressamente salvi dalla legge, è di cinquanta anni dalla fissazione del fonogramma (o dalla sua prima pubblicazione) o dalla prima fissazione dell’emissione radiofonica o televisiva.
Ai titolari di questi diritti sono riconosciuti diritti esclusivi in corrispondenza di specifici interessi ritenuti meritevoli di più ampia tutela (come nel caso della riproduzione del disco, della registrazione di una trasmissione radiofonica o televisiva su un supporto audio o video, o della fissazione della prestazione artistica) o semplici diritti a compenso, nel caso di utilizzazioni libere a tutti, in un regime di licenza legale. Anche agli artisti sono attribuiti (dagli articoli 81 e 83 della legge 633) diritti morali, irrinunciabili e inalienabili, analoghi al diritto di paternità e al diritto all’integrità dell’opera riconosciuti agli autori.
Quasi tutte le violazioni del diritto d’autore e dei diritti connessi sono reati e comportano l’applicazione di pesanti sanzioni penali e amministrative. Il sistema sanzionatorio è stato modificato più volte negli ultimi anni e ben 16 articoli della legge 633 (da 171 a 174-quinquies) sono dedicati a questa materia, in costante evoluzione anche per tenere il passo delle continue innovazioni tecnologiche che rendono sempre più agevoli le violazioni dei diritti da essa protetti.
L’autore e i suoi aventi causa (editori, eredi ecc.) possono anche evitare, reprimere, eliminare e sanzionare le violazioni dei loro diritti sul piano civile.
Le sanzioni civili sono l’interdizione ed inibitoria (ordine del giudice, mediante sentenza o ordinanza adottata in via d’urgenza, di cessare la violazione e di astenersi dal ripetere una violazione già avvenuta), la rimozione dello stato di fatto o la distruzione degli esemplari dell’opera prodotti o distribuiti indebitamente, la pubblicazione della sentenza (con la quale si tende ad informare il pubblico della reale situazione di diritto). In applicazione dei principi generali, alla lesione del diritto si accompagna la risarcibilità del danno, per cui è sufficiente aver compiuto il fatto con colpa lieve.

 

3. Lo statuto speciale dell’opera in biblioteca
Il bilanciamento degli interessi nell’ambito delle leggi sul diritto d’autore avviene attraverso l’uso accorto del meccanismo delle eccezioni o delle deroghe (le cosiddette libere utilizzazioni) ai diritti esclusivi di sfruttamento economico dell’autore, che tende a contemperare gli aspetti complementari del diritto sull’informazione e del diritto all’informazione.
Il legislatore italiano ha previsto, in favore delle biblioteche, alcune eccezioni ai diritti esclusivi dell’autore, definite dal Decreto Legislativo 68 del 2003.
La prima di esse riguarda il diritto di riproduzione e consente, senza alcun compenso per l’autore, la copia per i servizi della biblioteca, già prevista nel testo originario del 1941, mantenuta dalla legge 248 del 2000, e meglio definita nel secondo comma del nuovo art. 68, adottato per recepire l’art 5.2, lettera c) della Direttiva UE 2001/29 del 22 maggio 2001.
L’eccezione in parola prevede che sia libera la fotocopia di opere esistenti nelle biblioteche accessibili al pubblico (e in quelle scolastiche) da esse effettuata per i loro servizi, senza alcun vantaggio economico o commerciale diretto o indiretto. La nuova formulazione ha ristretto i confini dell’eccezione, dalla quale oggi sono escluse le biblioteche non accessibili al pubblico e le riproduzioni necessarie per le lavorazioni di staff, come nel caso delle consulenze, della preparazione di dossier o della distribuzione selettiva di informazioni agli utenti istituzionali delle biblioteche, tutte operazioni che dovrebbero rientrare a pieno titolo nell’esclusiva dell’autore.
La norma è intesa a consentire le copie (solo di libri e di altri testi fotocopiabili, ma non di altri supporti, dei quali si occupa il 2° comma dell’art. 69) realizzate all’interno delle biblioteche per i servizi propri e interni (conservazione a tutela e salvaguardia dell’originale, catalogazione del materiale posseduto, realizzazione di copie d’archivio, attività varie di carattere amministrativo) e non per quelli forniti agli utenti. Potranno essere, quindi, considerate libere le fotocopie effettuate per essere consultate dal pubblico allo scopo di evitare il deterioramento degli originali, ma non le copie realizzate per operazioni rivolte in qualsiasi modo all’esterno della biblioteca (prestito, noleggio o cessione a qualsiasi titolo), che incidono direttamente sui diritti dell’autore.
La seconda eccezione (introdotta ex novo all’art. 71-ter dal Decreto Legislativo 68 del 2003, che recepisce l’art. 5.3, lettera n) della Direttiva UE 2001/29) consente la libera comunicazione e la messa a disposizione destinata a singoli individui, a scopo di ricerca o di attività privata di studio, a mezzo di terminali aventi tale unica funzione, situati nei locali delle biblioteche accessibili al pubblico, limitatamente alle opere o ad altri materiali contenuti nelle loro collezioni e non soggetti a vincoli derivanti da atti di cessione o da licenza.
È importante dunque accertarsi che non siano stati posti vincoli a questo tipo di utilizzo, mentre occorre tener presente che l’eccezione non copre gli atti di comunicazione al pubblico che non avvengono per scopi di ricerca o di studio o sono indirizzati simultaneamente ad una pluralità di utenti.
Come in tutti i casi delle norme di natura eccezionale, e come la Direttiva UE 2001/29 espressamente dispone al “considerando” 40, non è possibile una interpretazione estensiva della norma, che quindi non copre le utilizzazioni effettuate nel contesto della distribuzione on line, con la conseguenza che l’accesso da luoghi remoti, attraverso la rete Internet, ai documenti delle biblioteche resta tra le facoltà esclusive riservate all’autore.
È stato anche notato, a quest’ultimo proposito, che la facoltà di permettere ai fruitori delle biblioteche di consultare sul posto le opere esistenti nelle loro collezioni, attività assolutamente intrinseca alla loro funzione istituzionale, è presente nel corpo della direttiva a conferma della particolare cautela con cui il legislatore comunitario guarda agli sviluppi delle nuove tecnologie.
In questa prospettiva va inquadrato il problema della document delivery, attività ibrida che coinvolge una combinazione di mezzi (cartacei, digitali, elettronici) e incide in misura sostanziale sul diritto di riproduzione.
Come fenomeno di carattere generale essa consiste nel fornire a utenti o clienti singoli, su loro richiesta, copia di documenti (soprattutto articoli di riviste scientifiche o tecniche) prodotti in forma cartacea o elettronica, anche se i casi più frequenti di document delivery si verificano quando una biblioteca è sprovvista del testo richiesto da un suo utente e si rivolge ad un’altra biblioteca che gliene spedisce una copia su carta.
Il timore degli editori è che le difficoltà di budget delle biblioteche possano trasformare le spedizioni interbibliotecarie, che dovrebbero avere carattere eccezionale, in reti cooperative per la fornitura di documenti, dando origine a vere e proprie operazioni editoriali in concorrenza con le attività da essi svolte.
Considerati gli stretti limiti entro cui può avvenire liberamente la riproduzione interna in base al secondo comma dell’art. 68, che richiede, tra l’altro, l’assenza di vantaggi economici o commerciali anche di tipo indiretto, la document delivery non può considerarsi compresa nei servizi della biblioteca e non rientra nel regime di licenza legale previsto dalla legge.
A maggior ragione le biblioteche non possono spedire via e-mail ad un’altra biblioteca una copia elettronica dei file eventualmente ricevuti dagli editori, a meno che non siano state a ciò espressamente autorizzate. Si tratta, infatti, di un’attività che coinvolge il diritto di comunicazione e rientra nei diritti esclusivi di norma esercitati dall’editore, che risulta sia stata finora autorizzata, anche se solo in via sperimentale, da alcuni editori olandesi.

 

3.1 La reprografia
Le macchine fotocopiatrici e la pratica della fotocopia si sono sviluppate a partire dagli anni sessanta, ma solo con il passare degli anni una parte dell’editoria libraria ha iniziato ad imputare la sua crisi alla loro massiccia diffusione, equiparando alla pirateria le fotocopie gratuite distribuite copiosamente nei luoghi d’insegnamento e di formazione e lamentando che quelle effettuate a pagamento nelle biblioteche e nelle copisterie non dessero luogo ad alcun compenso per gli autori.
Le esigenze da salvaguardare erano da un lato quella della concreta protezione dei diritti degli autori e degli editori e dall’altro quella di non precludere al pubblico l’accesso alla conoscenza, riconoscendo piena legalità alle operazioni di fotocopia di opere protette effettuate per uso personale, principalmente per ragioni di lavoro o di studio.
Il legislatore italiano è intervenuto nel 2000, con la legge 248, per disciplinare per la prima volta il fenomeno della reprografia, termine con il quale si definisce la riproduzione delle opere dell’ingegno mediante fotocopia, xerocopia o sistema analogo. Successivamente, con il Decreto Legislativo 68 del 2003, sono state apportate alcune modifiche all’art. 68 della legge, per apportare aggiustamenti minori al testo in vigore e adeguarlo alle disposizioni della Direttiva UE 2001/29.
Quest’ultima prevede, all’art. 5.2, lettera a), che le limitazioni al diritto di riproduzione possano coprire, previo pagamento di un equo compenso, solo casi circoscritti di fotocopiatura, connessi all’uso privato o riferibili ad attività svolte da istituzioni senza alcuno scopo commerciale, e mantiene espressamente il diritto esclusivo dell’autore sulle partiture e sugli spartiti musicali.
Le modifiche all’art. 68 introdotte nel 2003 non sono state sostanziali, anche se hanno migliorato e precisato alcune disposizioni della legge 248 del 2000, compresa la normativa relativa a spartiti e partiture musicali, prevista dal 3° comma che, come necessaria conseguenza della posizione assunta dall’Unione Europea per il prestito delle opere musicali, sono esclusi dalla fotocopiatura.
In linea generale la legge consente la libera fotocopia di opere protette, ma solo a condizione che la riproduzione sia effettuata per uso personale e si mantenga entro il preciso limite quantitativo del 15% di ciascun volume o fascicolo di periodico.
La riproduzione per uso personale è quella che può essere effettuata per scopi di lettura, studio, ricerca, consultazione, e non per uso commerciale o per trarre altre copie da distribuire ad altri, a pagamento o anche gratuitamente. In base al 6° comma dell’art. 68 è in ogni caso vietato lo spaccio al pubblico delle fotocopie ed ogni utilizzazione fatta in concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all’autore.
Al di là del limite del 15% fissato dalla legge, che deve essere fatto rispettare dal soggetto che mette le macchine fotocopiatrici a disposizione del pubblico, la licenza obbligatoria non è operante e la riproduzione è riservata all’autore: senza la sua autorizzazione la fotocopiatura di un numero di pagine eccedente tale limite, ed ovviamente quella di libri interi, non è quindi consentita, fatto salvo quanto previsto per le sole biblioteche pubbliche dal 5° comma dell’art. 68.
A fronte della libertà di fotocopia, la legge stabilisce che sia dovuto un compenso agli autori e agli editori da parte dei responsabili dei punti o centri di riproduzione (4° comma) o dalle biblioteche pubbliche (5° comma).
La misura dei compensi e le modalità di riscossione devono essere concordate tra la SIAE e le associazioni delle categorie interessate (gli autori e gli editori, i centri di riproduzione e le biblioteche): in mancanza di accordo, esse sono determinate attraverso la decisione di un’istanza indipendente, e cioè il Presidente del Consiglio dei Ministri, sentite le parti interessate.
Sono affidati alla SIAE, oltre alla negoziazione degli accordi, la riscossione e la ripartizione dei compensi, ed un ruolo centrale nell’applicazione della legge, in virtù degli incisivi poteri di vigilanza definiti dall’art. 182-bis.
Il regime per le fotocopie effettuate all’interno delle biblioteche pubbliche (che sono cosa diversa da quelle accessibili al pubblico) riguarda le sole opere in esse esistenti e si differenzia da quello previsto dalla legge per le copisterie non solo per quanto riguarda il sistema di determinazione dei compensi e gli oneri amministrativi (che non comprendono l’obbligo di fornire il dettaglio analitico delle opere riprodotte e del numero di fotocopie effettuate), ma anche per la possibilità di non applicare il limite del 15% quando l’opera da riprodurre sia fuori dei cataloghi editoriali e rara in quanto di difficile reperibilità sul mercato. Le due condizioni devono coesistere e la biblioteca, prima di autorizzare la riproduzione oltre il limite del 15%, ha l’onere di accertare se l’opera sia reperibile sul mercato in una delle sue diverse edizioni. In ossequio alla lettera della norma, l’attenzione è quindi posta sull’opera e sul suo contenuto, e non sulla specifica edizione, con la conseguente impossibilità di superare il limite del 15% nel caso in cui sia disponibile in via normale sul mercato una qualsiasi edizione dell’opera che si desidera riprodurre.
La ratio è quella di consentire l’accesso del pubblico all’opera, che sarebbe praticamente impossibile garantire a causa della sua indisponibilità nelle librerie e del divieto di fotocopia integrale.
Per stabilire se un testo sia o meno fuori dai cataloghi editoriali può essere consultato il “Catalogo dei libri in commercio”, pubblicato annualmente dall’Editrice Bibliografica, che raccoglie tutti i libri disponibili nell’area di lingua italiana e diffusi attraverso i comuni canali di vendita.
È ovviamente possibile fotocopiare un intero volume al di fuori dei casi previsti dalla legge a condizione di aver ottenuto l’autorizzazione specifica dagli aventi diritto, che potranno essere contattati attraverso l’AIDRO (Associazione italiana per i diritti di riproduzione delle opere dell’ingegno).
Il pagamento dei compensi da parte delle biblioteche pubbliche è in forma forfetaria, e deve essere effettuato direttamente ogni anno dalle biblioteche stesse, che devono prelevarli dalle somme versate dagli utenti del servizio e non possono trasferire l’onere sullo Stato o sugli enti pubblici da cui esse dipendono.
In materia di biblioteche sono stati finora raggiunti accordi con il Ministero della Pubblica Istruzione (per le biblioteche scolastiche aperte al pubblico), con la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l’Unione delle Province d’Italia (UPI) e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI), per le biblioteche degli enti locali territoriali, con la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) per le biblioteche delle Università rappresentate dalla CRUI, con l’Associazione Istituzioni Culturali Italiane (AICI) e con l’UNIONCAMERE. Una serie di accordi con altre Istituzioni ed Enti di ricerca è in corso di definizione.
I compensi forfetari sono calcolati in base a diversi parametri (per le Università, ad esempio, il compenso è stato rapportato al numero degli studenti iscritti, mentre in altri casi esso è definito in base al numero di fotocopie effettuate).
I servizi concessi in outsourcing all’interno dell’Università, quando l’attività sia svolta senza corrispettivo per le Università, oppure con corrispettivo non correlato al numero di copie eseguite (sia, ad esempio, definito in somma fissa) rientrano nel regime previsto per le copisterie, con rendicontazione e pagamento del compenso in forma analitica sulla base di parametri fissati per legge e senza esonero dal limite del 15% per le opere fuori catalogo.
Sono tenute a seguire la normativa generale prevista per le copisterie anche le biblioteche private accessibili al pubblico, cui la legge non estende le condizioni di favore previste per le biblioteche pubbliche, avendo probabilmente individuato in esse la presenza di finalità indirettamente commerciali o una maggiore possibilità di trasferire sui loro utenti l’onere del più elevato compenso determinato in forma analitica.
Stante il tenore letterale della legge, non rientrano tra le limitazioni al diritto esclusivo dell’autore le copie realizzate mediante scannerizzazione su supporto ottico o magnetico.
L’eccezione al diritto di riproduzione è, infatti, limitata alle fotocopie e non può essere estesa alla copia digitale, che deve essere espressamente autorizzata dall’autore, cui la legge riserva il diritto di trasferire l’opera dal supporto cartaceo al file digitale e di consentire la successiva riproduzione da file a carta.

 

3.2 Il prestito
L’art 69 della legge del 1941 rendeva libero il prestito al pubblico per l’uso personale, mentre sottoponeva a obblighi amministrativi il prestito a scopo di lucro.
Ma l’importanza crescente acquisita dal prestito attirò l’attenzione dell’Unione Europea, che mise in discussione la legittimità di questa essenziale attività delle biblioteche ed emanò la Direttiva 100 del 19 novembre 1992 per armonizzare anche in questa materia le legislazioni degli Stati membri.
L’art. 1.3 della Direttiva 100 definisce il prestito come la cessione in uso dell’opera, per un tempo limitato, effettuato da istituzioni aperte al pubblico, senza alcun vantaggio economico o commerciale diretto o indiretto (caratteristica quest’ultima che lo distingue dal noleggio), ed attribuisce la titolarità del relativo diritto esclusivo all’autore, che può cederlo all’editore o trasferirlo in amministrazione ad una società di gestione collettiva.
È il caso di rilevare che, secondo la direttiva, la finalità del prestito può esistere anche se c’è un pagamento, purché questo serva solo a coprire le spese di funzionamento dell’istituzione; sono inoltre esclusi dal diritto di prestito la consultazione sul posto nei locali della biblioteca e il prestito interbibliotecario, cioè la messa a disposizione tra istituzioni aperte al pubblico.
Una volta attribuito il diritto esclusivo, che renderebbe necessaria l’autorizzazione preventiva dell’autore per il prestito di ogni esemplare, la direttiva prevede all’art. 5.1 che gli Stati membri possano derogarvi quando esso sia effettuato da parte di istituzioni pubbliche, purché almeno agli autori sia riconosciuto un compenso, per determinare il quale i singoli Stati possono tener conto dei loro obiettivi di promozione culturale.
Gli editori e i produttori possono dunque beneficiare di questo diritto, che però deve obbligatoriamente essere riconosciuto solo agli autori.
In base all’art. 5.3 della direttiva gli Stati possono infine esonerare dal pagamento del compenso alcune categorie di istituzioni.
L’Italia ha recepito la Direttiva 100 attraverso il Decreto Legislativo n. 685 del 16 novembre 1994, con il quale ha introdotto l’art. 18-bis ed ha modificato l’art. 69 della legge del 1941.
Il 2° e il 3° comma dell’art. 18-bis definiscono il prestito e attribuiscono all’autore il diritto esclusivo nei termini fissati dalla direttiva, mentre l’art. 69 sottrae al diritto esclusivo dell’autore, ed esenta dal pagamento di qualsiasi compenso, il prestito eseguito dalle biblioteche e discoteche dello Stato e degli enti pubblici ai fini di promozione culturale e studio personale.
Restano soggette al diritto di prestito pubblico, per effettuare il quale dovrebbero quindi munirsi dell’autorizzazione degli autori (o dei loro aventi diritto), solo le non numerose biblioteche private aperte al pubblico, fra cui sono comprese quelle ecclesiastiche soggette alla legge italiana e quelle delle università e degli istituti scolastici privati.
Sono esclusi dal prestito, in base al 1° comma dell’art. 69, e sono quindi soggetti al diritto esclusivo dell’autore, gli spartiti e le partiture musicali, e i fonogrammi e videogrammi contenenti opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento, prima che siano passati un anno e mezzo dalla loro distribuzione (o due anni dalla realizzazione delle opere, quando i supporti non siano stati ancora distribuiti).
La norma rende dunque possibile, dopo il periodo protetto, effettuare il prestito pubblico dei supporti audio e video per scopi educativi e culturali, evitando di danneggiare i diritti di sfruttamento in quel periodo. È il caso di rilevare che non sempre è agevole per le mediateche risalire ai dati richiesti dalla norma, e che in molti casi la finestra può risultare eccessivamente ampia, dato che molti prodotti spesso non sono reperibili sul mercato anche prima della sua scadenza.
Per quel che riguarda la musica stampata, si deve notare che il diritto esclusivo è stato introdotto dall’art. 5 del Decreto Legislativo 685/1994, ma non discende dall’applicazione della Direttiva 1992/100, che non fa alcun riferimento ad essa. Le difficoltà procedurali e gli oneri economici che gli studiosi di musica e gli artisti devono affrontare per ricevere in prestito gli spartiti e le partiture conservati presso le biblioteche musicali dovrebbero convincere tutte le parti interessate dell’opportunità di aprire un canale di dialogo, e di concordare, se possibile, un codice di condotta analogo a quello sottoscritto nel Regno Unito fin dal 1985 dagli editori e dalle associazioni bibliotecarie, per disciplinare i casi più frequenti e delicati di uso delle copie musicali.
L’eccezione al diritto di prestito opera quando esso sia effettuato dalle biblioteche e dalle discoteche dello Stato e degli enti pubblici ed è motivata dall’interesse pubblico alla promozione delle attività culturali e di ricerca. La normativa adottata dall’Italia nel 1994, all’atto del recepimento della direttiva comunitaria, ha escluso il riconoscimento di un compenso per gli autori, con la conseguenza che l’esenzione ha riguardato circa 12.000 biblioteche pubbliche, e cioè la quasi totalità delle biblioteche italiane, e non si è limitata ad esonerare solo alcune categorie di istituzioni.
All’inizio del 2004 la Commissione Europea ha avviato la procedura di infrazione nei confronti di Spagna, Francia, Lussemburgo, Irlanda, Portogallo e Italia, ai quali ha contestato di non aver recepito in modo corretto alcuni articoli della Direttiva 1992/100. In effetti, non si può negare che le deroghe al diritto di prestito devono avere carattere eccezionale e non possono riguardare la maggioranza (o addirittura la quasi totalità) delle utilizzazioni coperte da questo diritto.
Dato che l’Unione Europea difficilmente tornerà sui suoi passi e pretenderà che gli aventi diritto su esemplari a stampa, fonogrammi e videogrammi ricevano un compenso, e considerato che l’Italia intende affermare il fondamentale ruolo culturale e sociale del prestito pubblico e conservare la gratuità del servizio, è necessario che il settore pubblico individui i mezzi per sostenere direttamente il relativo onere, sull’esempio di altri paesi europei che, in forme diverse, fanno gravare il compenso sullo Stato o sulle amministrazioni locali.

 

3.3 I documenti sonori e audiovisivi
L’ingresso dei documenti sonori e audiovisivi nelle biblioteche e nelle mediateche pubbliche risale a molti anni fa, dando luogo ad una serie di situazioni assai complesse sotto l’aspetto giuridico, dovute alla molteplicità dei supporti (nastri, CD, videocassette, CD ROM, DVD), alla varietà delle loro pratiche di utilizzo (l’ascolto o la visione possono essere individuali o collettivi, possono avvenire all’interno o fuori dei locali ecc) e al gran numero di soggetti che intervengono nel processo creativo (autori, produttori, artisti ecc).
La legge parla di fonogrammi e videogrammi, termini alquanto generici che tuttavia ben rappresentano la varietà e la costante evoluzione dei supporti, opera una netta distinzione tra i diritti d’autore e i diritti connessi ed istituisce un regime differenziato di protezione tra le due categorie di diritti, di cui occorre tener conto allorché si intendano utilizzare opere o materiali protetti.
In linea generale la legge fissa il principio base secondo cui ogni utilizzazione deve essere autorizzata dall’autore e dagli altri soggetti cui sono riconosciuti diritti esclusivi, e prevede un certo numero di eccezioni, che esentano l’utilizzatore dall’autorizzazione e, talvolta, anche dal pagamento di qualsiasi compenso.
Occorre quindi tener presente che le biblioteche e le mediateche, anche se diffondono gratuitamente opere protette, devono munirsi delle necessarie autorizzazioni, dato che nessuna esenzione specifica o licenza legale è prevista per esse dalla legge, oltre al regime particolare relativo alle riproduzioni effettuate per i loro servizi interni, definito dal 2° comma dell’art. 69.
Anche se sul piano strettamente giuridico non esistono quasi mai norme di legge che obbligano ad un trattamento specifico della materia, la SIAE, le società d’autori, e la SIAE tra esse, applicano alle mediateche un trattamento diverso da quello riservato agli altri utilizzatori, in considerazione delle finalità culturali, educativo-didattiche, formative e di ricerca che esse perseguono.
È anche prassi normale che, nel caso delle biblioteche sonore, per alcuni particolari usi, siano applicate tariffe speciali da parte degli editori.
Le attività delle mediateche soggette al diritto d’autore devono essere esaminate con cura. Esse mettono in gioco, oltre al diritto di prestito, il diritto di comunicazione, nelle sue varie forme, e il diritto di riproduzione, anche se per il secondo si tratta soprattutto di distinguere le attività consentite da quelle vietate dalla legge.
L’esecuzione (per le opere musicali), la rappresentazione (per le opere teatrali e liriche), la recitazione (per le opere letterarie) e la proiezione (per le opere cinematografiche e audiovisive) sono le diverse forme di comunicazione attraverso cui le opere sono portate a conoscenza del pubblico in via diretta o attraverso l’utilizzo di supporti materiali (dischi, videocassette, CD ROM, DVD ecc.).
Attualmente le mediateche effettuano soprattutto atti di comunicazione indiretta, come nel caso della musica d’ambiente per sonorizzare i locali accessibili al pubblico, della messa a disposizione di cuffie per l’ascolto di musica o della visione di opere audiovisive mediante apparecchi televisivi o posti di consultazione individuale.
I casi di comunicazione diretta dell’opera hanno carattere eccezionale e possono riguardare, tra l’altro, una lettura pubblica, uno spettacolo teatrale o una esecuzione musicale dal vivo.
Mentre la consultazione di libri non dà luogo a restrizioni particolari, salvo il caso in cui il manoscritto o l’opera inedita siano soggetti a limiti di utilizzo da parte del donatore, la consultazione di fonogrammi o videogrammi, anche su base individuale, è soggetta al diritto d’autore, trattandosi di un atto di comunicazione dell’opera al pubblico.
I meccanismi di autorizzazione per i documenti sonori sono diversi da quelli per le opere audiovisive.
Per quel che riguarda l’utilizzo delle opere musicali, teatrali e letterarie è necessario ottenere la preventiva autorizzazione degli autori, che normalmente prende la forma di un permesso rilasciato dalla SIAE, data l’ampiezza del repertorio da essa amministrato. Nel caso in cui, in base alle informazioni di cui si è in possesso, le opere da utilizzare non fossero comprese nel repertorio della SIAE, l’autorizzazione dovrà essere richiesta direttamente agli autori.
I permessi della SIAE riguardano il diritto d’autore, sono distinti in rapporto al tipo di utilizzazione e prevedono in genere, nel settore delle mediateche, il pagamento di contenuti importi forfetari.
Attraverso un accordo negoziato con alcune Regioni, e riguardante la fruizione della musica a mezzo di strumenti meccanici di ogni tipo da parte di biblioteche, nastroteche e videoteche, la SIAE ha autorizzato, per un compenso forfetario annuo, l’ascolto a mezzo cuffia, la visione a mezzo monitor individuale, l’ascolto e la visione collettiva in salette dedicate a tale uso.
L’accordo può essere esteso, su richiesta, anche a repertori diversi da quello musicale, ma non si applica alle performance dal vivo e agli eventi spettacolistici, né ai diritti connessi, che non sono amministrati dalla SIAE.
Per l’utilizzo in pubblico dei fonogrammi è previsto un regime di licenza legale, e le mediateche, pur dovendo corrispondere un equo compenso in base all’art. 73-bis della legge 633 del 1941, sono esentate dal richiedere l’autorizzazione preventiva dei produttori e degli artisti. In base al 3° comma dell’art. 73 il compenso non è dovuto per l’utilizzazione ai fini dell’insegnamento e della comunicazione istituzionale fatta dall’Amministrazione dello Stato e da enti a ciò autorizzati dallo Stato.
Per la corresponsione dell’equo compenso le mediateche devono prendere contatto con la Società Consortile Fonografici (SCF) e con l’Associazione Fonografici Italiani (AFI).
Per l’utilizzazione delle opere audiovisive occorre chiedere preventivamente l’autorizzazione del produttore (o del distributore italiano), e ciò costituisce una complicazione abbastanza seria, a causa della necessità di condurre trattative individuali in tutti i casi in cui il diritto di proiezione in pubblico non sia stato acquisito dalla mediateca (o da un intermediario specializzato) all’atto dell’acquisto del supporto materiale su cui è riprodotta l’opera. Alla SIAE è dovuto solo il compenso separato previsto dal 3° comma dell’art. 46 in favore degli autori delle musiche inserite nella colonna sonora di queste opere.
È superfluo ricordare che, anche se i prodotti sono stati regolarmente acquistati, è illegale la diffusione di una videocassetta o di un DVD che non sia stata espressamente autorizzata dal produttore.
Un discorso a parte merita il CD ROM, attraverso il quale sono accessibili documenti digitali molto diversi, che sono protetti dal diritto d’autore e devono essere trattati allo stesso modo e con le stesse cautele dei tradizionali documenti sonori e audiovisivi.
La consultazione nei locali delle biblioteche e delle mediateche è uno degli usi fondamentali del CD ROM, ma presuppone un atto di comunicazione al pubblico che deve essere autorizzato dagli aventi diritto, quando il suo contenuto (testi, musiche, immagini fisse o in movimento) risulti protetto dalla legge.
Il diritto di comunicazione deve essere dunque acquisito dalle mediateche, tenendo presente che di norma l’editore del CD ROM non dispone della totalità dei diritti, il che rende indispensabile il ricorso a società di gestione collettiva o ad intermediari specializzati.
Le condizioni di licenza non potranno non tener conto delle differenze esistenti tra i CD ROM commerciali, per i quali le biblioteche e le mediateche rappresentano una quota esigua del pubblico potenziale, e il cui uso è autorizzato attraverso licenze globali rilasciate da società di gestione collettiva, e i CD ROM professionali, per i quali contano prospettive di utilizzo strettamente legate al contenuto creato dall’editore, in cui prevale l’aspetto dell’accesso alle risorse informative, e che l’editore preferisce gestire direttamente e in piena autonomia.
Il diritto di riproduzione è coinvolto quando l’opera è fissata in modo stabile, nuovamente o per la prima volta, con qualsiasi procedimento su un oggetto materiale. Oltre al fenomeno della reprografia, di cui si è già parlato, la riproduzione riguarda anche la moltiplicazione in copie dei fonogrammi e dei videogrammi, che in questa materia presentano problematiche comuni e ricevono dalla legge lo stesso trattamento.
La legge italiana si occupa in modo specifico delle biblioteche, discoteche e cineteche dello Stato e degli enti pubblici in un solo caso, allorché prevede, al 2° comma dell’art. 69, che per i loro servizi sia consentita la riproduzione in unico esemplare dei fonogrammi e videogrammi esistenti presso di esse.
Al di là dell’ambiguità della formula adottata che, reiterando incertezze interpretative già affrontate in materia di fotocopie per i servizi delle biblioteche, sembra consentire la sola copia di precauzione a fini di stretta salvaguardia dell’originale, non si può non segnalare come l’insufficienza della norma sia stata denunciata da alcune istituzioni, che ritengono necessario disporre di un maggior numero di copie nei vari formati per sostituire i documenti danneggiati dall’uso non reperibili sul mercato.
Oltre a quella prevista dall’art. 69, la sola eccezione al diritto di riproduzione riguarda la copia privata, che dà la possibilità di riprodurre senza alcuna autorizzazione documenti sonori e audiovisivi, a fronte di un compenso prelevato sul prezzo di vendita degli apparecchi di registrazione e dei supporti vergini audio e video. L’eccezione è prevista dall’art. 71-sexies della legge 633, introdotto dal Decreto Legislativo 68 del 2003, attraverso il quale è stata recepita la lettera b) dell’art. 5.2 della Direttiva UE 2001/29, che definisce i limiti entro cui è consentita la riproduzione per copia privata.
La riproduzione può avvenire su qualsiasi supporto, ma deve essere effettuata da una persona fisica per uso esclusivamente personale, senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali. Il 2° comma dell’art. 71-sexies precisa che la riproduzione non può essere effettuata da terzi, e che la prestazione di servizi finalizzata a consentire la riproduzione da parte di una persona fisica per uso personale costituisce attività di riproduzione, ed è soggetta come tale al diritto esclusivo degli autori.
In base al 4° comma dell’art. 71-sexies è, infine, necessario che la persona fisica che effettua la riproduzione abbia acquisito il possesso legittimo degli esemplari o vi abbia lecitamente avuto accesso.
Dato che è autorizzata solo la copia privata, le mediateche non possono effettuare trasferimenti di supporto di qualsiasi tipo. È quindi vietato effettuare copie, anche parziali, per farle consultare agli utenti o per ascoltarle, né a maggior ragione si può mettere a disposizione del pubblico materiale illecito (come nel caso delle registrazioni di trasmissioni radio e tv effettuate dal personale, di concerti diffusi su Internet ecc.). E’ anche caldamente consigliato di non consentire la copia di documenti inediti, anche se destinati all’uso privato.
Si tratta di limitazioni piuttosto difficili da far accettare al pubblico, anche se i professionisti cominciano a comprenderne le ragioni.
Per quel che riguarda la copia privata, e a condizione che le norme di legge siano state puntualmente osservate, la mediateca non può comunque essere ritenuta responsabile di eventuali atti illeciti compiuti dai suoi utenti.
Se le mediateche possono lamentare che la specificità del loro lavoro, fondamentale per le attività didattiche, formative e di ricerca, non sia adeguatamente riconosciuta dalla legge, sarà bene che esse avviino un discorso con la SIAE e con le associazioni che raccolgono i titolari degli altri diritti per concludere accordi-quadro che disciplinino tutte le loro attività in modo chiaro ed uniforme, tenendo presente che le attuali pratiche sono spesso tollerate nella misura in cui non pregiudicano in misura rilevante i diritti, ma potrebbero essere perseguite qualora i controlli dovessero far emergere più marcati profili di danno.
Gli accordi-quadro dovrebbero consentire alle mediateche di accrescere la loro credibilità presso questi interlocutori, e di favorire le attività di promozione e di animazione da esse programmate, che possono rendere necessaria l’utilizzazione di opere protette. Nel frattempo è opportuno agire con lealtà e prudenza, tenendo a mente i rischi che gli operatori corrono nel caso di utilizzi non autorizzati, anche se effettuati con le più nobili ed altruistiche intenzioni.
Il rapporto tra Internet e diritto d’autore in biblioteca va esaminato sotto due punti di vista: la messa a disposizione di opere protette attraverso la rete e la liceità delle pratiche di utilizzo degli utenti, cui sia consentito l’accesso alla rete su postazioni dedicate, presenti nei locali della biblioteca.
Per mettere un’opera a disposizione del pubblico attraverso Internet è in primo luogo necessario riprodurla. Senza autorizzazione possono essere riprodotte sul sito istituzionale della biblioteca solo opere di pubblico dominio, mentre anche per utilizzazioni di modesta entità di opere protette (musica di sottofondo, foto, testi, brevi filmati) occorre acquisire la licenza degli autori. La SIAE è in grado di rilasciare licenze per l’uso delle diverse categorie di opere da essa amministrate ed applica alle biblioteche le speciali condizioni riservate alle istituzioni culturali.
Le biblioteche che consentono ai loro utenti l’accesso a Internet devono determinare il tipo di usi consentiti, che riguardano l’accesso ai siti, la consultazione dei dati in essi presenti, la copia su carta e la copia digitale.
Mentre la semplice visualizzazione dei dati non è riservata all’esclusiva dell’autore (fatti salvi gli atti rientranti nella nozione di comunicazione al pubblico), non possono essere considerate comprese nella licenza legale per reprografia (che riguarda le sole riproduzioni di opere presenti nelle biblioteche pubbliche a mezzo fotocopia, xerocopia o sistema analogo) la copia su carta né, a maggior ragione, la copia digitale su floppy disk o su altro supporto, anche se sono destinate all’uso personale.
Secondo l’opinione prevalente le eccezioni al diritto di riproduzione sono state costruite dalla legge italiana in modo piuttosto restrittivo e si limitano alla sola attività di fotocopiatura, con la conseguenza che gli utenti non possono svolgere in biblioteca attività (come la copia cartacea ad uso privato per fini educativi, di ricerca o scientifici o la duplicazione di informazioni digitali per gli stessi scopi) che essi possono liberamente effettuare nelle loro abitazioni.
Anche se non sarà semplice far comprendere il divieto agli utenti, si tratta di una situazione certamente non nuova per le leggi sul diritto d’autore, che spesso esentano alcune attività soprattutto per ragioni pratiche, per l’impossibilità di istituire un sistema efficiente di licenze individuali che possa coprire utilizzazioni di massa effettuate in privato.
Tuttavia, secondo una parte della dottrina, queste riproduzioni sarebbero coperte dall’eccezione per uso personale, purché siano effettuate da utenti che abbiano avuto legittimamente accesso all’opera, come nel caso in cui il suo autore l’abbia consapevolmente messa a disposizione di tutti, in modo tacito, per la sua riproduzione. In effetti, secondo una visione meno dogmatica della questione, largamente maggioritaria nell’ambiente delle biblioteche, l’ampiezza delle esenzioni non dovrebbe essere decisa in base a criteri meramente tecnici, ma andrebbe regolata tenendo conto soprattutto della effettiva consistenza dell’utilizzo e della sua capacità di incidere concretamente sul mercato potenziale dell’opera.
Per evitare di incorrere nella violazione del 2° comma dell’art. 71-sexies le biblioteche dovranno, infine, vietare in ogni caso il downloading da parte dei loro utenti di file contenenti fonogrammi e videogrammi prelevati da Internet.

 

3.4 Le biblioteche digitali
Le tecnologie digitali hanno accresciuto enormemente le possibilità di riproduzione e distribuzione delle opere, ma hanno creato notevoli incertezze ai titolari dei diritti, che non ricevono adeguati ritorni economici dalle nuove attività e temono che queste producano danni irreversibili al mercato primario delle loro opere.
Ben noti sono i rischi che comporta per i detentori dei diritti la diffusione in formato digitale delle opere, riproducibili in un numero illimitato di copie, tutte uguali all’originale e spesso distribuite in modo massiccio al di fuori del loro controllo e senza alcuna forma di compenso.
Altrettanto note sono le reazioni di chi ritiene intollerabile qualsiasi restrizione posta all’accesso alle risorse documentali, soprattutto quando si tratti di utilizzi per finalità di ricerca o di studio, e chiede che i benefici delle tecnologie non siano riservati a ristrette élites, ma siano messe a disposizione di tutta la collettività.
Non può stupire, quindi, che le logiche commerciali degli editori, i quali vogliono valorizzare al massimo i loro investimenti e intendono garantire la sopravvivenza delle attuali strutture, siano assai diverse da quelle delle biblioteche, che vogliono mantenere i costi entro i budget assegnati e temono che il sistema informativo da esse sviluppato sia ridimensionato e possa essere sostituito dai servizi a pagamento dei mercanti di informazioni.
A fronte di questa seria e apparentemente inconciliabile contrapposizione di interessi esistono poche certezze: l’ambiente cartaceo e l’ambiente digitale coesisteranno ancora per molti anni e la trasmissione in forma elettronica, almeno nel medio periodo, riguarderà solo alcune categorie di opere. E’ altresì chiaro che alcuni usi non minacciano gli interessi degli editori, mentre per altre, più rilevanti forme di utilizzo è necessario che le biblioteche concludano con essi una serie di accordi per disciplinare la materia.
Per svolgere in modo più efficiente i compiti tradizionali delle biblioteche è comunque innegabile che l’uso delle nuove tecnologie debba essere favorito e incrementato. Ad esempio, il prestito delle copie fisiche delle opere potrà essere sostituito, con le necessarie garanzie, dall’invio on line dei file contenenti i testi, venendo così incontro alle esigenze di cui si è fatto interprete Nicholas Negroponte, il quale ha avuto modo di lamentare l’inutilità di trovare in rete l’intero catalogo della Biblioteca del Congresso senza avere poi la possibilità di ottenere a casa i libri che si desidera consultare.
Notevole è il valore aggiunto che nel nuovo contesto tecnologico le biblioteche possono dare ai prodotti editoriali, come la catalogazione dei documenti, l’organizzazione di link o lo svolgimento di molte attività che i piccoli editori non sono in grado di garantire, come la digitalizzazione ex novo o lo stoccaggio permanente delle opere su potenti server.
Per le biblioteche la digitalizzazione consiste nel trasferire un documento analogico su un supporto digitale per svolgere con mezzi più appropriati alcune attività tipiche della loro primaria funzione, come l’archiviazione, la consultazione e la conservazione, o per sviluppare nuovi servizi indirizzati ai loro utenti, come l’edizione o la trasmissione delle opere in forma elettronica.
La legge sul diritto d’autore non tiene conto dei modelli di business in uso, la cui valutazione costituisce l’oggetto principale delle trattative per la negoziazione dei diritti, ma definisce gli atti concreti di utilizzo, che nelle situazioni in esame comportano la riproduzione delle opere e la loro comunicazione al pubblico e sono quindi soggetti all’esclusiva monopolistica riservata all’autore e al suo cessionario (di norma l’editore), rafforzata dalla Direttiva UE 2001/29 e dal Decreto Legislativo 68 del 2003 che ha recepito la direttiva.
Molta cautela è quindi necessaria nell’interpretazione della normativa attualmente in vigore, anche perché è chiaro che il fair use di origine anglosassone più volte evocato in biblioteca è del tutto estraneo alla tradizione giuridica italiana e a quella dell’Europa continentale.
Non deve quindi stupire che quasi tutti i soggetti interessati condividano ormai l’assunto che l’accesso elettronico alle opere debba essere disciplinato attraverso il sistema delle licenze e che lo sviluppo legale della distribuzione digitale delle opere si accompagni per forza di cose alla creazione di efficaci procedure di negoziazione dei diritti.
Se è opinione corrente che il contratto deve essere la regola nell’ambiente elettronico, il sistema più efficiente per il rilascio delle licenze si è finora dimostrato quello attuato attraverso la conclusione di accordi-quadro, con condizioni privilegiate, tra titolari dei diritti e consorzi di biblioteche.
La nozione di consorzio, nata negli Stati Uniti all’inizio degli anni novanta per calmierare il costo degli abbonamenti alle riviste scientifiche, si è sviluppata soprattutto nei paesi anglosassoni e consente alle biblioteche di ottenere dagli editori migliori condizioni e maggiore libertà di utilizzo, di eliminare la presenza di doppioni nelle loro collezioni e di accrescere l’offerta di titoli senza maggiorazioni consistenti di spesa.
Naturalmente esistono anche altri modelli di licenza, che tengono conto delle diverse politiche che gli editori possono adottare in materia di prezzi e di accesso ai documenti.
La licenza diretta è la migliore soluzione solo se un editore rappresenta un gran numero di titoli, mentre gli intermediari e gli agenti possono essere molto utili perché sono in grado di dare accesso ai cataloghi di più editori, abbattendo così i costi delle transazioni, che sarebbero proibitivi se i consorzi o le singole biblioteche dovessero negoziare una miriade di licenze individuali con tutti gli editori che dispongono di uno o due titoli.
Il trattamento delle diverse categorie di utenti è variamente differenziato, nell’ambito delle licenze dirette e di quelle su base collettiva, sia per quel che riguarda le attività consentite (consultazione, stampa su carta, copia digitale, trasmissione per la stampa, trasmissione per lo stoccaggio, trasmissione per la distribuzione in rete) che per quanto attiene al costo dei servizi.
Gli accordi-tipo di licenza conclusi in Europa negli ultimi anni hanno così consentito un accesso illimitato, con possibilità di copia digitale, solo ad alcune ben individuate categorie di utenti autorizzati (personale e membri dell’istituzione, studenti e ricercatori), ovunque essi si trovino, mentre agli utenti presenti nei locali della biblioteca è di norma permessa solo la copia su carta di un numero limitato di pagine.
Si è così definito un regime articolato di licenze, che dipende dall’ampiezza degli utilizzi, dalle caratteristiche dei gruppi di utenti (chiusi o aperti) e dall’ampiezza delle reti su cui essi operano (Intranet, Extranet o Internet), esclude dall’accesso ai materiali protetti gli utenti non registrati operanti da postazione remota e prevede forme di pagamento basate sull’uso dei documenti protetti in caso di richieste effettuate dagli utenti registrati a mezzo password o attraverso la firma di un modulo elettronico di adesione.
Accanto agli usi per fini di studio o di ricerca le licenze prevedono anche appropriate condizioni per gli usi commerciali, con esclusione della copia multipla, che deve essere autorizzata con una licenza ad hoc.
Una certa libertà di utilizzo è prevista, infine, per il trattamento da parte delle biblioteche del materiale pubblicato prima del 1995, per il quale le licenze autorizzano operazioni di scannerizzazione, stoccaggio e catalogazione, a condizione che non rientrino tra le eccezioni espressamente richiamate dagli editori.
Le società di gestione collettiva dei diritti aderenti all’IFRRO (International Federation of Reproduction Rights Organisations) si sono interrogate a lungo su quello che dovrebbe essere il loro ruolo nel rilascio di licenze per la distribuzione on-line, ma non si sono finora spinte molto al di là della dichiarazione congiunta sottoscritta nel 1998 con STM (Scientific, Technical and Medical Publishers). Con questo documento venivano fissati alcuni punti per la distribuzione di materiale protetto attraverso reti chiuse e STM riconosceva che le società di gestione collettiva potevano mettere in piedi un meccanismo di licenze non esclusive, che riconoscesse agli editori il diritto di determinare la misura dei compensi e di riservarsi la possibilità di rilasciare autorizzazioni dirette in alcuni settori.
Da parte sua l’EBLIDA (European Bureau of Library, Information and Documentation Associations) ha sottoscritto con la stessa STM alla fine del 1998 una dichiarazione congiunta con la quale venivano individuate alcune linee-guida cui i singoli editori avrebbero potuto aderire, attraverso una comunicazione scritta inviata a STM, per rendere disponibili alla digitalizzazione le loro opere, con le eventuali eccezioni e riserve suggerite dalle politiche commerciali di ciascun editore. Il sistema si presentava come un’alternativa ai sistemi di licenza negoziati su base bilaterale dagli editori e dalle biblioteche, e testimonia degli sforzi compiuti da molti anni dall’EBLIDA per individuare possibili aree di consenso con i detentori dei diritti sull’uso elettronico delle opere.
La complessità delle norme di legge che disciplinano la materia e la grande varietà delle pratiche di utilizzo e dei modelli di business che caratterizzano l’attuale fase di sviluppo delle economie digitali suggeriscono di disporre di adeguate strutture di consulenza, oltre che di risorse specifiche dedicate all’acquisizione delle licenze. Questi mezzi potranno essere reperiti grazie all’intervento delle amministrazioni pubbliche (Ministeri, Regioni, Province, Comuni) da cui dipendono le biblioteche o ricorrendo, negli altri casi, allo strumento consortile.
Il 2003 ha probabilmente segnato una svolta nella distribuzione legale della musica in rete.
Anche per la distribuzione on-line di libri e riviste la regolarizzazione del fenomeno dovrà probabilmente seguire un analogo percorso, coniugando il rispetto dei diritti degli autori con la specificità dell’insostituibile funzione svolta dalle biblioteche, in uno sforzo comune teso a combattere l’uso incontrollato delle informazioni elettroniche e a favorire la loro diffusione in forma legale.
L’accrescimento delle possibilità di accesso alla cultura per tutti i cittadini e la salvaguardia di adeguati livelli di presenza nell’ambiente digitale delle opere protette dal diritto d’autore dovranno essere garantiti evitando di far gravare l’onere del servizio pubblico su una sola categoria e incentivando con misure concrete l’uso delle più moderne tecnologie da parte delle biblioteche, al fine di assicurare all’utenza servizi sempre più efficienti ed aggiornati, in linea con gli elevati standard qualitativi raggiunti negli altri paesi europei.

 

Relazione tenuta durante la giornata di studi Proprietà intellettuale e nuove tecnologie in Biblioteca, organizzata il 7 maggio 2004 da Centre culturel français de Milan, Goethe Institut Mailand, Instituto Cervantes Milan e Settore Biblioteche del Comune di Milano